Science World



In the past decade an extraordinary claim has captivated cosmologists: that the expanding universe we see around us is not the only one; that billions of other universes are out there, too. There is not one universe—there is a multiverse. In Scientific American articles and books such as Brian Greene’s latest, The Hidden Reality, leading scientists have spoken of a super-Copernican revolution. In this view, not only is our planet one among many, but even our entire universe is insignificant on the cosmic scale of things. It is just one of countless universes, each doing its own thing. The word “multiverse” has different meanings. Astronomers are able to see out to a distance of about 42 billion light-years, our cosmic visual horizon. We have no reason to suspect the universe stops there. Beyond it could be many—even infinitely many—domains much like the one we see. Each has a different initial distribution of matter, but the same laws of physics operate in all. Nearly all cosmologists today (including me) accept this type of multiverse, which Max Tegmark calls “level 1.” Yet some go further. They suggest completely different kinds of universes, with different physics, different histories, maybe different numbers of spatial dimensions. Most will be sterile, although some will be teeming with life. A chief proponent of this “level 2” multiverse is Alexander Vilenkin, who paints a dramatic picture of an infinite set of universes with an infinite number of galaxies, an infinite number of planets and an infinite number of people with your name who are reading this article.
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Qual è oggi il problema più importante della fisica? Gli appassionati di fisica probabilmente risponderebbero: la gravità quantistica. Di tutte le forze fondamentali in natura, solo la gravità è ancora fuori dallo schema della teoria quantistica. La difficoltà di quantizzare la gravità ha guidato le teorie radicali come la  teoria delle stringhe, con la sua audace predizione di 11 dimensioni spaziali e universi paralleli. Non è chiaro se queste teorie sono “pazze abbastanza da avere una chance di essere corrette,” come disse Niels Bohr. E troppe poche persone conoscono la recente e drammatica storia di questo campo di ricerca. Infatti, il campo della gravità quantistica è nato nel  1916, anche prima che i fisici spiegassero le altre forze fondamentali, l’elettromagnetismo e le forze nucleari. Vent’anni dopo, un giovane fisico russo di nome Matvei Bronstein comprese che la gravità sarebbe stata la forza più difficile da quantizzare. Ma prima che potesse fare una ricerca seria, fu travolto dalle grandi purghe staliniane e giustiziato all’età di trent’anni.  E nostre conoscenze attuali della gravità si basano sulla teoria della relatività generale di Einstein, ma Einstein stesso capì che la sua teoria era incompleta. Poco dopo aver pubblicato la sua più famosa teoria, notò che gli effetti gravitazionali causerebbero un moto a spirale degli elettroni nei nuclei atomici. Così da fermare il processo di revisione della teoria generale della relatività. Nel 1915 scrisse: ”A causa del movimento intra-atomico degli elettroni, gli atomi dovrebbero emanare non solo energia elettromagnetica ma anche gravitazionale, anche se in piccole quantità. Se questo fosse visibile in natura, non solo si dovrebbe modificar la teoria elettrodinamica, ma anche la teoria della gravitazione”. (Per non sbagliare, l’implosione degli atomi dell’universo durerebbe 10^30 anni per completarsi. A quel tempo, Einstein pensava che l’universo fosse infinitamente vecchio. Se lui avesse saputo che aveva solo una dozzina di miliardi di anni, la sua argomentazione sarebbe stata inoppugnabile.) Per Einstein, l’instabilità gravitazionale degli atomi era una delle molte ragioni per cercare di costruire e comprendere una GUT (Grand Unified Theory). Un numero considerevole di teorici sentirono una spinta alla ricerca dovuta alla teoria di unificazione di Einstein, sebbene molti di essi abbandonarono o scelsero di posare la loro attenzione ai problemi reali della fisica atomica e sviluppare la neonata meccanica quantistica. Uno di questi era Wolfgang Pauli. Uno dei molti risultati di Pauli fu la teoria pubblicata nel 1929 insieme a Werner Heisenberg, nella quale studiavano l’elettrodinamica con i principi quantistici. I loro scritti fornivano un risultato strabiliante: lo stesso approccio avuto con l’elettrodinamica poteva essere usato con la gravità: “ La quantizzazione di un campo gravitazionale, che sembra essere a questo punto necessaria per ragioni fisici (riferimento alla citazione di Einstein), può essere sviluppata senza alcuna difficoltà ulteriore mediante un formalismo fisico analogo a quello fin qui usato”. Nel frattempo, un giovane fisico russo, Lev Landau, iniziò a fondare la teoria della teoria quantistica dell’elettrodinamica.  Quello che preoccupava Landau era il problema che rese famoso Heisenberg: il principio di indeterminazione, soprattutto quando, combinato con la relatività, applicava i principi ai campi elettromagnetici. Landau rivendicava che una incertezza relativistica rendeva di fatto impossibile ogni misura puntuale del campo. E se tu non puoi misurare il campo, in linea di principio, il concetto di campo ha ancora senso? Se non ce l’ha, il metodo di Pauli e Heisenberg fallisce.  Fu Bohr a salvare Pauli e la QED in un articolo scritto nel 1933 con Leon Rosenfeld. Ovviamente criptiche, le 60 pagine identificarono il punto debole dell’esperimento mentale di Landau -  cioè l’assunzione delle particelle puntuali. Bohr e Rosenfeld spiegavano perché la misura andrebbe fatta in media sul campo in una estesa regione e non puntualmente. Comunque, Landau, con la sua famosa passione per la chiarezza, no  fu persuaso. Fu a questo punto che un amico di Landau, Matvei Bronstein, entra in scena e comprese meglio dello stesso Bohr l’idea da quest’ultimo proposta. Nel 1934 pubblicò un articolo di 3 pagine per spiegare perché la misura del campo non riguardava il concetto del campo elettromagnetico. Si può sempre supporre che l’attrezzatura per la misura sia arbitrariamente enorme, al fine di misurare con precisione arb itraria il campo. Bronstein era a casa con atomi e gravità, quando comprese perché Pauli fosse ottimista, suo malgrado, riguardo la gravità quantistica. La ragione è che, quando la gravità entra in azione, la massa è l’analogo gravitazionale della carica elettrica. Non si ha più la libertà di scegliere la massa e la carica separatamente, come nell’elettromagnetismo. Più grande è l’attrezzatura ,  più l’effetto della forza di gravità dovuta all’attrezzatura è il risultato della misura. Della ricerca completa di Bronstein sulla gravità quantistica, pubblicata nel 1936, la partè più affascinante sono le differenze fra QED e la teoria della gravità quantistica. Bronstein mostrò che il limite quantistica della misurabilità dovrebbe essere chiaro per le particelle con una massa specifica, conosciuta come la Massa di Planck. Siccome la gravità nella relatività generale è descritta dalla geometria, Bronstein dichiarava che la difficoltà di quantizzare la gravità portava la natura dello spazio e del tempo nella seguente questione: “ L’eliminazione di logiche inconsistenze richiede una radicale ristrutturazione della teoria, e in particolare, il rifiuto di un’operazione di geometria riemanniana, come abbiamo visto qui, con quantità che sono inosservabili in principio, e forse anche il rifiuto del concetto ordinario di spazio e tempo, rimpiazzandoli con qualcosa di più profondo e non evidente.  Wer's nicht glaubt, bezahlt einen Thaler.” Questa frase è tratta da una fata di un racconto dei Grimm: “Se non credi, paga un Thaler(moneta germanica)”. Questo evoca il fatto che la conclusione di Bronstein, seppure appaia non plausibile, è del tutto inveitabile. Bronstein continuò a ricercare questi “concetti non evidenti” invece del tempo e dello spazio, ma questo perché aveva prima approfondito un problema esistenziale con la cosmologia. Qualche fisico capì che il redshift della luce proveniente da lontane galassie, che Hubble evidenziò nell’espansione dell’universo, potrebbe venire spiegato dal fenomeno della “luce stanca”. L’idea era che come i fotoni interagivano con il vuoto quantistico nel loro viaggio attraverso il cosmo, loro sembrerebbero invecchiare e diventare rossi. Bronstein confutò questa ipotesi. Se i fotoni stavano invecchiando, la quantità di redshift sarebbe diversa in regioni diverse dello spettro, mentre Hubble mostrò che il redshift era lo stesso per fotoni di ogni colore. Bronstein inoltre aveva un interesse ardente all’insegnamento e pubblicò tre libri per bambini sulla scoperta dell’elio, dei raggi X, e l’invenzione della radio. È ricordato come uno dei più promettenti fisici della sua generazione. Ma la notte del 6 Agosto del 1937 fu arrestato. La polizia chiese di abbassare le armi e i suoi veleni, lui rispose con un sorriso da incompreso. Fu giustiziato nella prigione di Leningrado nel 1938 di Febbraio, uno delle migliaia di vittime di Stalin. Oggi, 75 anni dopo le previsioni di Bronstein, migliaia di articoli e dozzine di libri pubblicati sulla gravità quantistica, il problema rimane ancora una sfida aperta. Sebbene  migliaia di giovani fisici teorici siano cresciuti, sono ancora incastrati nelle disquisizione formali e fisiche. Mai prima nella fisica così tante persone hanno lavorato così a lungo su un tema e con pochi sviluppi tangibili. Non dovrebbero pagare i loro Thaler alla memoria di Bronstein? 


Fonte: http://www.scientificamerican.com/blog/post.cfm?id=why-is-quantum-gravity-so-hard-and-2011-07-15&WT.mc_id=SA_CAT_physics_20110715
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Peter Woit's Page: http://www.math.columbia.edu/~woit/wordpress/
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In the May 2011 issue of Scientific American mathematician John Baez co-authors "The Strangest Numbers in String Theory," an article about the octonions, an eight-dimensional number system that was discovered in the mid–19th century but that has been largely ignored until quite recently. As the name of the article implies, interest in the octonions has been rekindled by their surprising relationship to recent developments in theoretical physics, including supersymmetry, string theory and M-theory. Baez and his co-author John Huerta wrote, "If string theory is right, the octonions are not a useless curiosity; on the contrary, they provide the deep reason why the universe must have 10 dimensions: in 10 dimensions, matter and force particles are embodied in the same type of numbers—the octonions." The eight dimensions of the octonions aren't the only interesting thing about the number eight, however. Baez highlights the number eight as one of his three favorite numbers. (The other two? Five and 24.) In 2008 Baez gave a series of lectures explaining what makes five, eight and 24 such unique and mysterious entities. The lectures, which are intended for a general interest audience, live on the Internet as both pdfs of the slides he used and video recordings. Watching them, you can learn not only a lot more about what makes octonions special, but also sphere stacking, the golden ratio, Islamic tiles, and why the sum of all integers equals –1/12.





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